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Dalla voce di mio padre, trascritta da mia madre:

“Mio padre morì il 2 febbraio 1941: avevo dodici anni e mia sorella Giuliana sedici. Mia madre si trovò ad affrontare un compito al quale nessuno l’aveva preparata e che mai avrebbe immaginato di dover fronteggiare. Quando lei e mio padre si sposarono, nel 1925, essa era infatti la tipica signorina di buona famiglia istruita in tutte le virtù muliebri richieste dall’educazione del tempo: sapeva suonare il piano, dipingere, cucire e ricamare, ma era del tutto digiuna di senso pratico e dovette affidarsi ai fattori prima che io, praticamente da subito, subentrassi a mio padre  nella conduzione dell’azienda agricola.

Dopo la morte di mio padre, durante le vacanze estive fui mandato a Fara Filiorum Petri affidato alle cure di un sacerdote: Don Fabio, fratello di Don Aniceto, conoscente di famiglia, affinché mi introducesse allo studio del greco e del latino in vista della prossima iscrizione alla quarta ginnasiale. A scuola poi, nonostante fossi timidissimo, andavo sempre bene, forse grazie anche a quei  primi  rudimenti nelle lingue classiche impartitemi in quelle non troppo severe e impegnative lezioni .

Al liceo, invece, venivo sovente ripreso dalla supplente di lettere per non ricordo più quali mancanze  e mandato in corridoio “a fare la guardia al Plastico dell’Impero”. A mia madre, che andava a informarsi del mio andamento, il Preside, siciliano, non potendo lagnarsi del mio profitto, si lamentava con lei di come io fossi insensibbile e incorreggibbile. Tanto che una volta, per un increscioso equivoco, venni sospeso dalle lezioni per un mese.

In profitto non ero disprezzabile, era la condotta la mia bestia nera! Nel frattempo cominciavo a venire incaricato di tutte le incombenze inerenti la conduzione delle campagne e della casa e a poco a poco mi trovai a ricoprire il ruolo di “possidente”.

Mio padre è stato grande. In molti sensi: E’ stato un grande bambino, un grande ragazzo, un grande uomo.

Grande l’imprenditore, grande il fratello, grande il padre, grande il marito.

Un bellissimo uomo che sposò una bellissima donna.

Il tempo passato insieme lo ricordo di estrema qualità.
Un rispecchiamento amorevole, un porto sicuro e dal giudizio morale eticamente incontestabile. Una guida affidabile.

Anche lui aveva i suoi difetti: Dio non volesse che l’ira lo cogliesse,
sarebbe stato difficile tirare indietro le lacrime, tanto ti atterriva.

Pochissimi gli episodi che ricordo in tal senso.
Il più importante avvenne quando avevo più o meno 25 anni.
Avevo da poco concluso l’Università a Roma e tornata a casa a Pescara di giorno facevo pratica legale e la sera uscivo a divertirmi spesso.
Una sera, dal suo divano, dal quale difficilmente si muoveva dal 1995, mi rimbrottò: “Chiara, che stai facendo? Ricordati una cosa: io alla tua età gestivo da anni, da solo, l’azienda agrícola di famiglia e dopo poco ho creato la Sicma” .

L’anno seguente ero la responsabile legale dell’azienda agricola Ciavolich: mio padre mi mise in mano il futuro.

Io lo vidi, lo accolsi e da allora la sua fiducia in me fu totale.
Mai dubitò che io avrei realizzato il sogno di creare un grande vino, fatto di territorio e delle sue persone, conosciuto in tutto il mondo, che desse trascendenza al suo nome.

La sua forma di agire, la sua totale fiducia in me, il darmi tutto in mano senza chiedere nulla in cambio e  senza nessun timore che io fallissi, è stata di certo la forma di amore più grande che io abbia mai sentito in vita mia.

Mio padre mi ha decisamente sedotto e conquistato dalle fasce, come ha conquistato  tutti con quel suo carattere timido ma amabile; il suo piglio deciso e  con quella sua intelligenza che induceva rispetto e  timore ma soprattutto ammirazione.

Ammirato da ogni lato, non è mai stato un narciso. Chi lo ha conosciuto bene, ha conosciuto anche il bene che ha fatto al suo paese, Miglianico, e ai suoi amici.  Amici che a volte hanno ricambiato l’affetto e l’aiuto con gratitudine e un affetto altrettanto grande e altre volte no.

Pochi e semplici sono stati gli insegnamenti di mio padre, raramente trasmessi a voce, mi sono giunti attraverso il suo esempio.
Essi hanno a che fare, fondamentalmente, con l’impegno di essere una persona seria, umana e rispettosa dell’altro, con l’assumersi la responsabilità della propria vita e delle proprie azioni, con volare alto e pensare in grande e con il non mollare mai…” papà non ce la faccio”. “ ce la fai ce la fai”.

Ma il più importante di tutti, mi è arrivato dalla vita intera di entrambi i miei genitori: Giuseppe e Anna.

Ed è che alla fine

l’Amore è l’unica cosa che conta davvero e che anche in amore contano poche e semplici cose. Di sicuro non l’età.

Che tra due persone la simmetria più importante che esista è quella del sentire comune e della stima reciproca, lo sguardo dell’uno sull’altro, ma soprattutto lo sguardo comune sul terzo.

E che l’amore eterno esiste e non ha a che fare con il fuoco che arde all’inizio, ma con un esercizio infinito, continuo e costante della sola forza di volontà.