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PERCHE’ SONO FEMMINISTA E CREDO CHE DOVREMMO ESSERLO PROPRIO TUTTI

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Mi sono scoperta femminista a 40 anni.

Prima, non lo ero mai stata. Mi infastidiva l’immaginario femminista, mi infastidivano i gruppi di sole donne agguerrite e rivendicative. Mi infastidivano le quote rosa. Mi infastidivano le imbarazzanti notti dell’8 marzo. Mi infastidivano, delle donne, molte cose e infatti nel corso della mia vita sono sempre stata circondata più da amicizie di genere maschile che femminile con le quali condividevo le ambizioni, la voglia di crescita e libertà, la falsa indipendenza emotiva e un ego piuttosto fragile.

 

Poi nella mia vita è avvenuto uno di quei momenti di crescita che migliorano la tua prospettiva su te stessa.

Un percorso che ha a che fare con l’indagine e la messa a fuoco della propria autentica identità, la quale è comunque in costante evoluzione, ma che , ho capito, deve fondarsi su basi certe.

Certezze che io non ho avuto per molti anni.

Non è avvenuto di colpo, in maniera repentina. E’ stato un percorso lungo e molto sofferto che è durato anni perché il mondo in cui sono cresciuta, a parte alcune significative eccezioni che hanno contribuito a guidarmi dove sono,  è quello di donne “che temono di peccare per orgoglio fidandosi del proprio giudizio e per viltà se cedono alle pressioni esterne”. ( cit. Simone De Beauvoir) .

Mi ci sono voluti 17 anni di azienda agricola, infinite sedute di terapia, diversi uomini accanto solo alcuni molto amati, un matrimonio finito e una figlia meravigliosa, per farmi fare un salto evolutivo verso una migliore identificazione del me e quindi, la presa di coscienza di essere, tra le altre cose, molto femminista.

Questa parola, in molti, richiama antipatia e in modo del tutto arbitrario e spesso ipocrita, c’è chi la contrappone a maschilismo, attribuendole dunque una paritetica connotazione negativa.

Nulla di più errato.

Maschilismo è una discriminazione della donna basata sul suo genere, che parte dal presupposto di una  superiorità fisica e morale dell’uomo sulla donna. Femminismo è un movimento, un pensiero che nasce per delle evidenti circostanze di mancanza di parità tra i generi, per il trovarsi, nascendo femmina, in evidente posizione di svantaggio.

E’ inoltre definito carsico perché appare, scompare e riappare ogni volta con forme nuove e diverse, in base al periodo storico contingente.

Per quanto molte delle rivendicazioni femministe più estreme e tra l’altro ormai superatissime e lontane nel tempo, siano quanto di più lontano da me, e penso a tutte quelle rumoreggianti manifestazioni che  ricordano  movimenti jidaisti e l’intolleranza di alcune  religioni, a slogan come “ lo sperma dei maschi ci inquina” ( che fanno solo sorridere per la pochezza dello spirito), a volontà repressive nei confronti del genere maschile che non mi appartengono  se non a mò di sfottò nel gioco quotidiano dei ruoli  nella mia azienda agricola, essere femminista è una delle più belle conquiste della mia vita.

I primi lampi di coscienza in tal senso devono essermi arrivati con la nascita di mia figlia, che mi ha catapultato in una dimensione a me sconosciuta: quella del riuscire a camminare in equilibrio su un doppio binario in cui se perdi l’equilibrio, ti aspetta il baratro.

“ Per essere una madre devo ignorare le telefonate, lasciare il lavoro a metà, venire meno agli impegni presi. Per essere me stessa devo lasciar piangere mia figlia, anticipare le sue poppate, abbandonarla per uscire la sera, dimenticarla per pensare ad altro. Riuscire a essere l’una significa fallire nell’essere l’altra.” (cit. Rachel Cusk, Il lavoro di una vita sul diventare madri, Einaudi )

Ci ho messo anni, e non è ancora finita perché non si finisce mai, ad elaborare una sorta di punto di equilibrio in cui arrivi a governare il tuo costante senso di colpa per l’una o l’altra cosa, e non a farti governare da lui.

Ma il fatto che io mi sia svegliata così tardi, non vuol dire che nella mia vita, come nella vita di tutte le donne, non si siano susseguiti una serie di circostanze ed episodi infami, che ti vogliono riportare evidentemente al tuo ruolo di donna ( un gradino sotto, dunque, per favore). 

Molti pensano che io sia una privilegiata per molti motivi.

Uno di questi, dicono,  è il semplice fatto di non aver avuto mai padrone, la qual cosa mi avrebbe sicuramente preservato dal confronto con molte delle circostanze sgradevoli, persecutorie o quantomeno imbarazzanti, in cui si trovano donne che partono da circostanze meno favorevoli.

Ora, a prescindere dal fatto che nella mia vita il peggior padrone che io abbia mai avuto sono sempre stata me stessa ( ed è per questo che a fasi alterne della mia vita di totale severità e intransigenza autoinflitta, ho spesso delegato il ruolo persecutorio  ad un terzo estraneo che mi sollevasse per un pò da tale incombenza quotidiana),  purtroppo non è cosi.

Il primo episodio privilegiato risale ai miei 8 anni e all’incontro con un pedofilo.

Avevo un bellissimo fiocco di tulle rosa a pois in testa e, alle 15 di pomeriggio, mia madre mi aveva permesso di scendere giù in cortile a fare 4 passi prima di cominciare a fare compiti. Nel palazzo c’era Corradino, il portiere, con la cui figlia giocavo spesso, che di certo mi avrebbe vista. Ma Corradino quel pomeriggio non c’era.

A seguire una serie di altri episodi meno drammatici ma di vario spessore, in cui come molte ho dovuto destreggiarmi ( e continuo a farlo) tra avances inappropriate di professori universitari, ispettori regionali col potere del rilascio della pratica, agenti di commercio con manie di onnipotenza e priapismo, produttori di vino marpioni e volgari o tra misurazioni di potere con chi pensava di poter fottere allegramente e a mani basse me e tutta la mia famiglia per altre cinque generazioni.

Tutte cose comuni, che capitano sempre a tutte le donne,  ma che non dovrebbero capitare.

Soprattutto però, ciò che non dovrebbe capitare è il pensiero che sta serpeggiando in alcuni di voi e cioè: “queste cose succedono da che mondo e mondo, fanno parte della femminilità e  se succedono è anche colpa delle donne, che non sanno prendere le misure, che non sanno  come “gestire gli uomini” , a volte sono le donne stesse che li provocano” e tutto l’infinito mare di cazzate di corredo.

Ecco, a un certo punto è successo che mi sono svegliata con una certa stanchezza in corpo.

Stanca di tutta la serie infinita di stereotipi sessisti di cui mi sono accorta di essere circondata, come lo sono tutte le donne.

Stanca del vanverismo di coloro che deprecano le quote rosa,

perché ahimè, solo in un mondo ancora del tutto ideale vanno avanti i più qualificati.

Ciò che invece è un dato di fatto è che ancora oggi, per la maggior parte, sono gli uomini ad essere scelti a prescindere dai loro meriti.

E questo è tanto più vero quando si pensa ai posti di potere, la cui porta rimane socchiusa.

Lo ha spiegato bene il Premio Nobel  Wangari Maathai “più in alto vai, meno donne ci sono”.

E infatti nelle Università 7 sono le rettrici su 77 rettori, nelle imprese 5000 amministratrici su 17000 amministratori. In agricoltura il 30% delle imprese è donna ma se guardi ai consigli di amministrazione delle più importanti organizzazioni sindacali italiane, la rappresentanza femminile è imbarazzante.

Le pensioni valgono il 37% in meno di quelle maschili e l’occupazione femminile è ferma in Italia al 49% da anni.

A titolo di gossip aggiungo che Il Premio Strega in 70 anni lo hanno vinto 11 donne. 

Oltre ad una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo, aggiunge Draghi nel suo discorso alla Camera, L’Italia presenta uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa. Cito:

“Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge, richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra i generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia e lavoro.”

Possiamo solo sperare e stare a vedere.

Nel frattempo sono solo le imprese che ci credono davvero a sostenere il costo di una reale parità di genere, con pari condizioni e favorendo con non poche  difficoltà i part time per le mamme, facendo  il possibile per la loro crescita lavorativa, che equivale a crescita dell’azienda stessa.

La mia astenia però non si limita alle quote, ma riguarda diverse altre cose.

Per esempio quegli uomini che mi spiegano le cose dal loro podio di assoluta mancanza di competenza ed esperienza, che mi danno consigli su consigli non richiesti.

Lo spiega bene Rebecca Solnit in Gli uomini mi spiegano le cose, Ed. Ponte alle Grazie:

“Alcuni uomini spiegano le cose, a me come ad altre donne, indipendentemente dal fatto che sappiano o no di cosa stanno parlando. Mi riferisco a quell’arroganza che, a volte, mette i bastoni tra le ruote a tutte le donne, in qualsiasi settore, che le trattiene dal far sentire la propria voce e che schiaccia le più giovani nel silenzio insegnando, cosi come fanno le molestie per strada, che questo mondo non appartiene a loro”.

Sono stanca del  e fatte na risata…oh non ridi mai …era na battuta !   dopo che hai fatto una battutona e ridi solo tu o ti ho dovuto apertamente dire che per favore  devi smetterla di guardarmi le tette e non mi devi toccare le mani, primo perché non mi attrai per niente, anche perché hai 70 anni, secondo perché stiamo parlando di lavoro, terzo perché mi fa pure un pò schifo data la contingenza pandemica. E poi per favore smettila di argomentare sulla tua libertà di espressione, sul tuo essere un giocherellone  e sul mio politically correct che ti vuole imbavagliare. Pietà.

Riguarda i  gruppi di donne. Se è vero infatti, come scrive Lorenzo Gasparrini nel suo splendido “Non sono sessista ma”, edito da Tlon, che il punto di vista femminile dovrebbe far cambiare convinzioni e modi di intendere, allora perché dobbiamo dedicargli uno spazio particolare e chiuso, una sezione apposita, azione certamente discriminante, invece che mescolarsi e mettere in comune esperienza ed ottiche diverse?

E’ per questo che  non faccio parte di nessun gruppo di donne, nè del vino nè di altro tipo. 

Riguarda gli stereotipi di genere: rosa per le bimbe versus  blu per i bimbi, principesse e ballerine, versus pirati e supereroi, bambole e cucine versus camion, aerei e costruzioni, ragazzi che devono diventare uomini duri ( con conseguente ego fragile) e ragazze che devono diventare accoglienti e pazienti  ( e occuparsi del fragile ego dei loro ragazzi) etc etc etc.

Per non parlare  delle poesie che ancora oggi, nel 2021, trovo sui libri di testo di mia figlia:

Nella mia casa c’è tanto da fare,

c’è da cucinare c’è da stirare,

ci sono i panni da lavare,

ci sono letti da preparare,

c’è il piccolo da cullare,

c’è il più grande da svegliare,

c’è la spesa c’è la cena

la giornata è tutta piena

Ma in casa c’è la mia mamma e la casa è sempre bella, c’è pronto sempre tutto,

c’è la mamma che fa tutto

Ma sono stanca anche di tutte quelle donne che si chiudono nei limiti di un altro.

In amori che incatenano, che non lasciano aria e libertà. 

Che si sacrificano con tutte se stesse. Sempre e comunque.

Delle donne che pensano che le altre siano tutte donnacce, che giustificano le infedeltà dei partner con frasi tipo “ tutti gli uomini lo fanno” o, peggio  ancora “ eh ma l’uomo ha un bisogno fisico”.

Che giudicano le donne che non hanno figli, che sviliscono i successi di altri donne con presunti flirt con i superiori.

E di tutte quelle donne che invece il potere lo ottengono davvero così.

Mi sono svegliata stanca, ma allo stesso tempo felice della mia presa di coscienza di essere una femminista felice che non odia gli uomini, anzi, che ama i rossetti, e se e quando si veste bene lo fa per se stessa e  che spera di contribuire un poco ad un processo di cambiamento culturale  che, come dice Chimamanda Negozi Dichie nel suo “Dovremmo essere tutti femministi” edito da Einaudi, ( che è l’ultimo libro che consiglio e cito insieme al suo fantastico Ted Talk da visualizzare qui https://www.ted.com/talks/chimamanda_ngozi_adichie_we_should_all_be_feminists/transcript?language=it#t-368064) porterà a eliminare pian piano il nodo allo stomaco e la immediata resistenza che si prova quando si parla di genere, tutti i pensieri immediati e negativi che ancora oggi  accompagnano la parola femminismo ( le femministe odiano gli uomini, non trovano marito, non portano il reggiseno etc etc)  e, magari, porterà anche qualcuno  ad aprire il vocabolario alla parola femminismo per leggere:  “ Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne” e a riconoscere, uomo o donna che sia, che si, c’è un problema col genere ancora oggi, e che è dovere di tutti rendersene conto e sistemarlo.